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29 aprile 2014 / Marco Alici

Lo smartphone etico


02Cercare di capire come sono fatti i prodotti che acquistiamo, da dove provengono le materie prime di cui sono fatti e in quali condizioni di lavoro sono realizzati: sono domande che tutti dovremmo farci. Trovare le risposte a volte può portare davvero molto lontano.

È quello che è accaduto a un gruppo di giovani olandesi. Grazie a un progetto portato avanti insieme ad ActionAid, Waag Society (fondazione che unisce ricerca, tecnologia, arte e promozione sociale) e Schrijf-Schrijf (impresa sociale nel campo della comunicazione), hanno toccato con mano, ad esempio, le tante, sanguinose e spesso sconosciute guerre che si combattono, soprattutto in Congo, per il controllo dei giacimenti di materiali (tantalio, stagno…) necessari alla famelica industria dell’elettronica di consumo; hanno preso coscienza delle condizioni di lavoro nelle fabbriche, quasi tutte cinesi, che quelle materie prime trasformano nei dispositivi tecnologici che brillano nelle vetrine e sugli scaffali dei megastore occidentali.

Da qui la decisione di “sporcarsi le mani” e provare a vedere se è possibile concepire e attuare un altro modo di fare le cose, secondo criteri di trasparenza, equità, giustizia sociale, rispetto delle persone e dell’ambiente. Come? Facciamo un telefono equo e solidale, un telefono etico (“fair” in inglese): un Fairphone!

La storia di questo progetto è tutta scritta sul sito web di Fairphone, l’impresa sociale omonima fondata da Bas van Abel: “Vogliamo cambiare il rapporto che i consumatori hanno con i prodotti che acquistano” è scritto tra le pagine del sito web. Crediamo che, come conseguenza, impareranno a ricercare un’economia basata su altri valori. Il nostro smartphone non è altro che il risultato di questo ragionamento”.

Ma perché proprio un telefonino? “Avremmo potuto scegliere un tostapane o un frigorifero, ma il telefono è una buona metafora della nostra complessa e interconnessa catena di approvvigionamento”.

Tecnicamente Fairphone è un telefono cellulare apparentemente come i tantissimi che troviamo al banco elettronica dei centri commerciali. Più precisamente è uno “smartphone“, cioè un apparecchio capace di connettersi ad internet per navigare sul web e sui social network, usare la posta elettronica, fare e scambiare foto e filmati e molto altro ancora: praticamente un computer da tasca. In cosa consiste, dunque il suo contenuto etico?

Etico è il modo in cui è progettato: “se non lo puoi aprire, non è tuo”, è scritto sul sito. Fairphone è costruito in modo da poter essere riparato se si rompe (ad esempio potendo cambiare la parte anteriore se si rompe il vetro del dispositivo, che comunque continuerà a funzionare avendo il pannello touch separato dal vetro, a differenza dei suoi concorrenti, che hanno i due elementi incollati insieme), o da poter essere aperto per sostituire la batteria, che ha una vita utile più corta di tutto il resto (negli iPhone non è possibile, tanto per fare un esempio tra i più noti); l’imballaggio è ridotto al minimo indispensabile, una piccola scatola di cartone riciclato, anche grazie all’assenza di accessori come caricabatterie e cavetti, che sono standard e che il 90% degli acquirenti sicuramente avrà già in casa.

© Benjamin Großmann Geese

Etico è anche il modo in cui è realizzato: stagno e tantalio, ad esempio, provengono da miniere africane che aderiscono a progetti di cooperazione internazionale che garantiscono l’assenza di conflitti e di sfruttamento di manodopera; il telaio interno è realizzato in policarbonato riciclato (di ottima qualità, peraltro); per la produzione delle parti e per l’assemblaggio sono state scelte aziende (cinesi) inserite in progetti di salvaguardia delle condizioni lavorative, di equa retribuzione e di rispetto di criteri di sicurezza e di rispetto ambientale; controlli aggiuntivi del rispetto di quelle specifiche sono stati assicurati dalla presenza sul posto dei responsabili del controllo di qualità; il sistema operativo è Android, nella sua versione “open source”, che ne permette il libero adattamento e l’utilizzo senza costi di licenza; come se non bastasse, l’utente ha la facoltà (di norma disabilitata negli smartphone) di sostituire il sistema operativo con altri (a breve dovrebbero uscire versioni di Firefox OS e Ubuntu Touch compatibili).

Tutto questo, ovviamente, non è gratis, altrimenti lo farebbero tutti. L’equità ha un costo: un Fairphone costa 325 euro (più spese di spedizione, dal momento che per ora è acquistabile solo sul loro sito web), cioè qualche decina di euro più dei suoi concorrenti a parità di prestazioni.

Finanziata in parte dalla prevendita – a tutti gli effetti una partecipazione alla realizzazione del progetto – e in parte da fondi privati e da associazioni e aziende che hanno deciso di credere nell’idea, la produzione vera e propria è ufficialmente iniziata nell’estate 2013. Sull’apposito blog è stato possibile seguire passo per passo ogni stadio di avanzamento del progetto: elenco dei principali fornitori, distribuzione dei costi tra le varie voci, eventuali modifiche alle caratteristiche tecniche del prodotto. Il primo lotto di 25.000 pezzi è andato esaurito in prevendita ai primi di novembre, un paio di mesi in anticipo rispetto alle previsioni; già per Natale il primo migliaio di fortunati acquirenti si sono visti recapitare il proprio Fairphone, a sorpresa,visto che secondo il calendario ufficiale le spedizioni sarebbero iniziate tra Natale e Capodanno.

Questa storia dimostra che è possibile concepire e attuare un altro modo di fare le cose. Non solo: la risposta di mercato è apparsa subito al di sopra di ogni più rosea previsione, segno che esiste nel mondo un desiderio diffuso di equità, che aspetta solo di essere intercettato. Basti dire che è stata lanciata subito la prevendita di un secondo lotto di 25.000 pezzi, ma nel momento in cui scriviamo risultano ben 31.626 richieste. Le multinazionali sono avvisate.

(Articolo pubblicato sulla rivista Segno, Aprile 2014)

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